intervento del Consiglio Comunale di commemorazione del XXV Aprile. Tenutosi al Liceo Issel
Ogni XXV Aprile ci incontriamo per ricordare un pezzo di storia scritta dal basso, dalle persone comuni, da coloro che si indignarono per le leggi razziali, per la soppraffazione, la prepotenza che arrivava fino all’ uccisione degli avversari. Questa storia si chiama Resistenza.
Non è una storia lontana, si è combattuta anche qui vicino a noi. Il 2 Febbraio 1945 in una conca sotto Pian dei Corsi dormivano: Giuseppe Siri 23 anni, Renzo Benolo 30 anni, Cesare Risposi 21 anni, Camillo Bussolati 20 anni, Franco Varisco 20 anni, Giobatta Del Monte 20 anni, Renzo Barsotti 26 anni, Ivo Biagi 19 anni, Pietro Stella 19 anni, Davide Noceto 20 anni, Giobatta Isnardi 20 anni.
Furono uccisi dalla controbanda dei San Marco di Calice, condotta sul luogo dal partigiano Tarzan che poi si scoprì essere un infiltrato. Erano giovani e morirono in una guerra, crudele come tutte le guerre.
Una guerra con minacce e prepotenze nei confronti di chi aiutava i partigiani. E in questa guerra chi ti minacciava o ti picchiava era il tuo vicino di casa, era uno che parlava il tuo dialetto. Per schierarsi contro ci voleva coraggio, molto. Perchè l’ adesione al fascismo era pretesa fin dalla più giovane età.
Era organizzata una educazione paramilitare per cui i bambini venivano iscritti a 4 anni ai “Figli della Lupa”, da 8 a 14 anni ai “Balilla”, da 14 a18 agli” Avanguardisti”, oltre i 18 anni alla “Gioventù Fascista”. Parallelamente le formazioni femminili erano le “Piccole italiane” e le “Giovani italiane”.
Non a caso i partigiani era molto giovani, perchè da giovani ci si ribella all’ ingiustizia, alle sopraffazioni. Da giovani si combatte per gli ideali invece di subire per convenienza.
Comunque poichè non aderire al fascismo era difficile (era già quello una resistenza) molti si iscrissero per quieto vivere con poca convinzione. Perchè non era una scelta. Era un obbligo. I Fascisti militanti che andarono a minacciare i parenti dei partigiani, a bruciare le case, a compiere gli attentati per fortuna furono meno ma non così pochi visto che l’ Italia visse 20 anni di dittatura.
Io credo che oggi nella storia di molte famiglie ci siano parenti da una e dall’ altra parte. Si tratta di due parti molto differenti.
In questa guerra di liberazione che oggi ricordiamo una parte combattè per i valori della libertà e della giustizia su cui si fonda l’ Italia mentre l’ altra combatteva per mantenere il nazi-fascismo.
Da un po’ di anni a questa parte è in atto un tentativo di equiparazione dei morti di una e dell’ altra causa. Dobbiamo opporci con decisione a questo tentativo di riscrivere, ribaltandola la storia.
Non dobbiamo scordare che i partigiani combatterono per costruire l’Italia democratica basata sulla costituzione. Gli altri combatterono per imporci lo stesso regime che aveva ammazzato il deputato Giacomo Matteotti perchè aveva denunciato i crimini squadristi ed i brogli elettorali.
Quindi in questa ricorrenza del XXV Aprile dobbiamo prima di tutto dare valore alla storia preservando la verità.
Questo tentativo di diluizione della storia è costante, per esempio quest’ anno l’ annuale bando del concorso Giacomo Matteotti si riferisce a Matteotti come “scomparso”. Ma Matteotti è stato ucciso dai fascisti non è scomparso.
Da un intervento di Massimo Gramellini ad una trrasmissione televisiva: “Abbiamo già parlato del premio Giacomo Matteotti, annunciato da uno spot in cui sfilava tutto il Novecento, dall’alluvione di Firenze al Muro di Berlino, tranne che il fascismo. Ora ci risiamo: è uscita l’inserzione del bando di concorso, dove si parla di anniversario della scomparsa di Matteotti, che viene definito lo statista scomparso. Allora, chiariamo: Matteotti non è scomparso. È stato ammazzato. Assassinato dai fascisti dopo aver denunciato i loro brogli elettorali in un discorso alla Camera.
Giulio Cesare è scomparso alle idi di Marzo? John Kennedy è scomparso a Dallas? Bene, neanche Matteotti è scomparso. È stato ucciso. Le parole sono importanti. Bisogna fermarne la deriva finché siamo in tempo. Non vorrei che alla prossima edizione del premio scrivessero che Matteotti è scomparso nel suo letto, assistito fino all’ultimo con sguardo amorevole da Mussolini.
La Resistenza rappresenta il seme storico da cui è cresciuta la Repubblica italiana. E per questo, ancora dopo 65 anni e in futuro sempre, è e sarà importante ricordarLA. A maggior ragione oggi perchè questa nostra società vive una forte crisi civile. Siamo in un epoca triste, in cui la crisi più grave non è quella economica ma quella etica, politica e culturale. Come dice Don Ciotti: “Oggi siamo tutti + poveri, ma poveri innanzi tutto di diritti”.
Pensate a quei giovani partigiani che combattevano o resistevano in nome del bene collettivo della Libertà e della Giustizia. Libertà per loro era la libertà di espressione, la libertà del dissenso, la libertà vera. Oggi si pensa che la libertà sia solo individuale e questa parola è abusata per indicare la libertà del più forte di prevalere. Attenzione: l’individualismo insofferente delle regole è l’anticamera della cultura mafiosa in cui ciò che conta è il successo, la forza, il possesso anche a discapito degli altri.
La Libertà che hanno difeso i partigiani è come l’aria. Ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare. E’ la libertà di espressione che è scritta nella nostra costituzione. Allora prendiamola questa costituzione. Vediamo L’art. 34 dice: «I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi».
E se non hanno mezzi? Nella nostra Costituzione c’è un articolo ancora più importante e più impegnativo.
Art.3: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
Ecco cos’era la libertà per cui si sono battuti nella Resistenza, la Libertà della nostra costituzione, era la Libertà delle opportunità E DEI DIRITTI. Una Libertà indissolubilmente legata alla Giustizia. La Giustizia vera, la giustizia uguale per tutti, non la giustizia a doppio binario forte coi deboli e debole coi forti.
La democrazia ha bisogno di questa giustizia che difende la legalità.
A 65 anni di distanza, serve di nuovo una presa di coscienza collettiva, diversa nelle forme ma uguale nella passione a quella che ha contribuito a liberare il nostro paese dalla dittatura politica per risvegliare le coscienze e ristabilire quei valori alti scritti nella nostra costituzione. Serve uno slancio di entusiasmo che riempia di significato le parole Libertà, giustizia, eguaglianza sociale e cancelli quel tentativo di anestesia delle coscienze di cui abbiamo parlato prima.
Oggi non serve, ovviamente, prendere il fucile, basterà risvegliare il cervello. Leggere, ascoltare e riflettere. Molti scrittori o giornalisti possono guidarci in questa strada. E oggi ne avete citati tanti.
Voglio chiudere questo intervento, visto che siamo in una scuola, parlando proprio di scuola.
Durante il fascismo “La scuola italiana in tutti i suoi gradi e i suoi insegnamenti doveva ispirarsi alle idealità del Fascismo ed educare la gioventù italiana a comprendere il Fascismo”. Il testo era unico.
In più vi era l’ educazione paramilitare parallela per cui l’ educazione era basata su: Divise, marce, esercitazioni, disciplina e testo unico ed i maestri obbligati al giuramento (1929).
La resistenza si battè anche contro la scuola di regime del Fascismo. E nella costituzione fu scritto l’ art. 34. e la scuola pubblica è un pilastro essenziale della costruzione della nostra democrazia. Piero Calamandrei paragona la scuola al sangue “che battito a battito porta la vita a tutti gli altri organi” e nel 1950, scrisse un appassionato discorso sulla scuola pubblica che vi leggo:
Piero Calamandrei, 11 febbraio 1950
Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l’aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura.
Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C’è una certa resistenza; in quelle scuole c’è sempre, perfino sotto il fascismo c’è stata. Allora, il partito dominante segue un’altra strada (è tutta un’ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito.
Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A “quelle” scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata.
Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private. Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d’occhio i cuochi di questa bassa cucina.
L’operazione si fa in tre modi, ve l’ho già detto:
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rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni.
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Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette.
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Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico.
Non sembra esser stato scritto oggi questo bell’articolo?
Difendere la scuola pubblica, la vostra scuola significa difendere la democrazia
Significa fare anche noi la Resistenza e difendere la Libertà delle opportunità e dei diritti.
Difendere la scuola pubblica è un bel modo di rendere onore al grande coraggio ed altruismo della Resistenza, migliore di tanti discorsi.