acqua che lava anche la politica

inserisco una riflessione sui referendum dell’ acqua inviatami da Adele:

A volte penso alla Bolivia. Penso al cammino di cambiamento che questo paese ha fatto, a partire dalla guerra per l’acqua a Cochabamba nel

 2000, quando la gente scese in piazza, esasperata dagli aumenti insostenibili della bolletta ad opera della multinazionale Bechtel a cui era stato affidato il servizio idrico.
Da quel momento in poi la popolazione boliviana, sfruttata da secoli dagli stranieri e rapinata di tutte le sue risorse naturali, ha iniziato a prendere coscienza dei suoi diritti e ha prodotto cambiamenti inimmaginabili dieci anni fa.
A volte penso alla Bolivia e mi chiedo se anche in Italia la lotta per l’acqua – una battaglia che si sta svolgendo in maniera certamente meno cruenta – potrà essere l’avvio di un cambiamento del paese.

Questo referendum contro la privatizzazione del servizio idrico potrebbe entrare nella storia, le premesse ci sono tutte; chi ha fatto decenni di raccolte firme non ha mai visto una tale mobilitazione, neppure per l’aborto o per il divorzio. E’ qualcosa che ci ha sorpreso tutti, in modo positivo, abbiamo riscoperto la partecipazione e l’entusiasmo, l’impegno gratuito, l’unirsi e l’incontrarsi: tutte parole ormai sconosciute all’ interno della vita politica italiana.

L’acqua è riuscita a mettere d’accordo migliaia e migliaia di associazioni e gruppi, ha messo d’accordo tutti tranne chi sta in parlamento, perché tanto l’opposizione quanto la maggioranza, ottusamente o coscientemente, si ostinano a ignorare questo grande movimento di popolo.
Mi impressiona partecipare alle riunioni del comitato, dove la gente si ascolta, dialoga con civiltà, si aiuta: ognuno offre la sua parte, si autotassa, nessuno vuole prevaricare, nessuno grida. Non ci eravamo più abituati e ci sembra di stare in un sogno.
Poi facciamo i banchetti e ogni giorno ci sono sempre volontari pronti a spendere il loro tempo a raccogliere firme e a spiegare alla gente quello che i media tengono ben nascosto. Senza chiedere nulla in cambio, solo per la convinzione che sia giusto e necessario farlo, perché siamo scandalizzati da quello che il governo vuole fare.

Regalare l’acqua al privato è togliere ai cittadini un bene pubblico della collettività, per fare sì che solo in pochi ci possano lucrare. E per favore non stiano a raccontarci che l’acqua resta pubblica e che al privato viene data solo la gestione, perché tali affermazioni offendono l’intelligenza di chi ne abbia un minimo per capire che l’acqua può anche essere tutta nostra, ma se la rete la gestisce un altro è come non averla! A meno che uno tutte le mattine non parta col secchio sulla testa e vada all’invaso o al pozzo come fanno in Africa…

Chi gestisce la rete gestisce l’acqua, è evidente!

Come si fa ad assoggettare al mercato un bene che è un monopolio naturale? L’acqua non è mica come un dentifricio per cui vado al supermercato e scelgo quello che più mi piace o quello che costa meno o quello più sano o quello che fa i denti più bianchi, più profumati, più lisci, più verdi…

Continuano a ripeterci che c’è bisogno del privato perché porta investimenti ed efficienza. Peccato che non ci dicono che invece dove il privato è già arrivato non ha fatto gli investimenti pattuiti e l’efficienza è quasi sempre peggiorata. Ma i media sono in buona parte collusi con quelli a cui interessa mettere le mani sull’acqua e quindi i cittadini difficilmente sapranno la verità.

Questa è poi esattamente la situazione che vediamo ai banchetti: la gente è ignara, quando scopre che si vuole privatizzare l’acqua si scandalizza, rimane sbigottita, si arrabbia, senza sapere che questo processo è ormai in atto da oltre un decennio. Ecco, se la gente sapesse la verità, sicuramente questo paese sarebbe diverso. Chi ha già provato sulla sua pelle la privatizzazione invece sa qualcosa di più e quindi non è un caso che il maggior numero di firme provenga proprio dai territori dove la privatizzazione è già avvenuta. Questi cittadini stanno mettendo in guardia gli altri che non sono stati ancora vittime della privatizzazione.

La cosa incomprensibile del famigerato decreto Ronchi è l’obbligo di privatizzare: perché questo obbligo anche dove le aziende pubbliche funzionano benissimo? Per fare un regalo ai soliti amici, lo sappiamo.

Il titolo della legge, invece, cerca di mascherare questo, di presentarla come l’adempimento di un obbligo derivante dalla normativa dell’unione europea. Si guardano bene però dal citare quale sia questa norma, che infatti non esiste. L’unione europea non obbliga nessuno a privatizzare i servizi pubblici, tanto è vero che il Municipio di Parigi dal 2010 ha fatto proprio il contrario, cioè si è ripreso gli acquedotti che erano da anni in mano a due grandi multinazionali. Forse è invece il decreto Ronchi ad andare contro la normativa europea sulla concorrenza, quando prevede un trattamento discriminatorio per le aziende pubbliche. Io non ho mai studiato legge, ma queste incongruenze saltano all’occhio anche di un bambino.

Col referendum vogliamo abrogare anche un altro articolo del testo unico ambientale (D. Lgs. 152/2006), una parte del comma 1 dell’articolo 154 relativo alla scelta delle forme di gestione e alle procedure di affidamento. Quest’ultimo è nuovamente un prodotto vergognoso dei nostri legislatori: perché garantire l’utile al privato permettendogli di aumentare le tariffe indipendentemente dalle sue capacità gestionali, azzerando il rischio di impresa? Siamo bravi tutti a fare gli imprenditori quando la legge ci garantisce l’utile sulle spalle degli utenti, che non hanno possibilità di opporsi o di scegliere un altro gestore!

Più ci si addentra nella materia e più si rimane schifati e allibiti, la rabbia si trasforma in voglia di lottare contro questo sistema assurdo che non fa gli interessi dei cittadini ma dei soliti noti. E allora penso a tutte le persone che in questi mesi ho conosciuto, facendo nascere dal nulla un comitato che praticamente non esisteva, ma che ha contribuito a fare sì che la Liguria fosse la prima regione d’Italia a raggiungere l’obiettivo di firme prefissato, in poco più di un mese. Sono orgogliosa di questo gruppo di persone, di tutte le età, con storie e appartenenze diverse, provenienti da molte realtà associative o privati cittadini che hanno deciso di dedicare un po’ del loro tempo a questa battaglia civile in difesa del bene più prezioso che abbiamo sulla terra. E’ un gruppo eterogeneo, ma unito, e da questa capacità di unirsi può nascere qualcosa di nuovo.

Rivedo le nostre prime riunioni, in una sala nei “carruggi” del centro storico di Genova, le sedie non bastano per tutti e i più giovani si sono seduti sul pavimento davanti a me. Vedo i volti puliti di Daniela, Cristiano, Enrico, Lucia. Li conosco: qualcuno ha passato dei mesi in Africa condividendo la vita dei più poveri, qualcuno fa parte di un gruppo di acquisto solidale per praticare uno stile di vita più giusto e attento, altri ancora fanno parte di gruppi di promozione della partecipazione dei cittadini alla politica, tutti stanno contribuendo a cambiare un pezzettino di mondo. Il loro stare seduti sul pavimento mi fa venire in mente per antitesi le poltrone del parlamento, le poltrone della politica, così distante, così deteriorata. Quel gesto naturale di sedersi per terra durante una riunione, che abbiamo fatto mille volte, sentendoci a nostro agio e senza complessi di inferiorità, stasera mi fa pensare che la democrazia sta lì in mezzo a noi che ci sediamo sul pavimento, gratis, anzi mettendoci un po’ del nostro, e con questi pensieri torna la speranza. Siamo stufi della politica tradizionale sempre più lontana dai cittadini, sempre più ignara di quello che la gente sente e pensa. Noi la gente invece la incontriamo per la strada, ai banchetti, e tastiamo il polso delle persone deluse e arrabbiate. Vogliamo offrire alla gente una politica con la “P” maiuscola, che parla dei diritti, della vita di ogni giorno, dei problemi di tutti.

Per ora pensiamo solo all’acqua, ma a volte penso alla Bolivia e sogno che una cascata di acqua limpida spazzi via tutto il marciume della politica attuale e dall’acqua nasca un paese nuovo.

Silvia Parodi 

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