Tiziana Bonora ci inviata a leggere questo articolo uscito sul numero di maggio di “Mosaico di Pace”, diretto da Alex Zanotelli. Un consiglio molto profondo, come sempre.
Venti anni e venti nuovi. Quelli di don Tonino Bello dalla sua Pasqua e quelli che noi auspichiamo con questo numero speciale che dedichiamo per intero a colui che ebbe l’intuizione di queste pagine come uno strumento di pace.
Venti nuovi che spazzino via pigrizie e ritardi colpevoli e che diano finalmente ragione di chi non si è mai rassegnato al già visto e nemmeno alla banalità.
Venti nuovi che vorremmo sentire soffiare sul villaggio globale. Per spazzare le ingiustizie che don Tonino ci ha insegnato a chiamare per nome e per sospingere sempre più avanti le ragioni di una pace che non può che essere costruita nell’impasto della nonviolenza attiva. Venti capaci di introdursi quasi clandestinamente anche nei palazzi del potere per sussurrare come una brezza il tempo nuovo in cui i poveri, e solo loro, siano al cuore di ogni scelta e di ogni elaborazione. A coloro che hanno scelto di impegnarsi in quei palazzi dedichiamo l’editoriale tratto dallo scrigno delle parole di don Tonino. Dopo venti anni non riusciamo ancora a smettere di dire grazie col cuore a quel profeta del mondo nuovo che è don Tonino Bello.
[Tonio Dell’Olio]
Il bene comune deve rimanere sempre il fine ultimo della politica. Questo significa due cose. Anzitutto, rifiutare la politica come gestione della cosa pubblica per il bene di una parte. Di una corporazione, di un gruppo di potere o di pressione. “I partiti devono promuovere ciò che, a loro parere, è richiesto dal bene comune, mai però, è lecito anteporre il proprio interesse al bene comune” (GS, 75).
E poi significa mettere al centro la persona, adattandola come misura di ogni impegno, come principio architettonico di ogni scelta, come criterio assiologico supremo. La persona, non il calcolo di parte. Le persone, non le astuzie di potere. La persona, non le mosse egemoniche. La persona, non il prestigio delle fazioni.
Perdonate il gioco barbaro dei termini con cui si vuol dire che ogni dinamismo espresso nella prassi deve partire dalla contemplazione. È necessario che gli uomini impegnati nell’agire politico, quale che sia il loro credo religioso, siano dei contemplativi, diano spazio al silenzio e all’invocazione, non si lascino distruggere la vita dalla dimensione faccendiera, non si sperperino nella dissolvenza delle manovre di contenimento o di conquista.
“Siamo all’alba del terzo millennio – scrive La Pira – e come all’alba del secondo, vanno a fiorire di nuovo i mistici e gli artisti”.
Io penso che i politici, se vogliono essere onesti col mondo che intendono servire devono essere mistici e artisti nello stesso tempo. “L’immaginazione al potere”, scrivevano sui muri gli studenti della Sorbona nel ‘68. E, qualche anno dopo, Paolo VI, nella Octuagesima adevenien affermava: “in nessun altra epoca l’appello all’immaginazione sociale è stato così esplicito come nella nostra. Occorre dedicarvi sforzi di inventiva e capitali altrettanto ingenti come quelli impiegati negli armamenti o nelle imprese tecnologiche” (n. 19) […]
La parola di speranza la traggo da un passaggio splendido della Gaudium et Spes che parla della politica come “arte nobile e difficile”.
Il che significa che chi la deve essere un artista, un uomo di genio. Una persona di fantasia. Disposta sempre meno alle costrizioni della logica di partito e sempre di più all’invenzione creativa che gli viene richiesta dalla irripetibilità della persona.
Arte, cioè programma, progetto, apprendimento, tirocinio, studio. È un delitto lasciare la politica agli avventurieri, è un sacrilegio relegarla nelle mani di incompetenti che non studiano le leggi, che non vanno in fondo ai problemi, che snobbano le fatiche metodologiche della ricerca e magari pensano di salvarsi con il buon cuore senza adoperare il buon cervello. È un tradimento pensare che l’istinto possa supplire la tecnica e che il carisma possa soppiantare le regole interne di un mestiere così complesso.
Arte nobile. Nobile perché legata al mistico rigore di alte idealità. Nobile perché emergente da incoercibili esigenze di progresso, di pace, di giustizia, di libertà. Nobile perché ha come fine il riconoscimento della dignità della persona umana, nella sua dimensione individuale e comunitaria.
[don Tonino Bello]
(Molfetta, 22 dicembre 1985, discorso agli operatori politici – consiglieri comunali, segretari di partito, dirigenti sindacali).